<<Connor non è il tuo vero nome, giusto?>> Iniziò Aveline
<<No, mi chiamo Ratonhnhaké:ton. Il mio Maestro Achille mi ha dato quel nome, per fare in modo che le mie origini Kanien’kehá:ka non fossero riconoscibili tra i coloni. Non sono mai stato particolarmente felice di nascondere la mia identità, ma non ho potuto fare altrimenti>>
<<Che cos’è Kaniacaca?>>
Connor sorrise <<Kanien’kehá:ka intendi?>>
<<Si, quello>> Rispose divertita Aveline
<<È il mio popolo, la mia gente>>
<<Ripetimi il tuo nome, vediamo se riesco a dirlo>>
<<Ra-to-nhnha-ké:-ton. Prova>>
<<Ra-don-na-ghen-don. Ho detto bene?>>
<<Non male>> Le sorrise dolcemente.
<<Dai parlami del tuo popolo, la vostra cultura mi affascina>> Intimò Aveline, alzandosi per andare a togliere dal fuoco la camomilla e versarla nella tazza. Connor iniziò a parlare dei luoghi in cui era cresciuto, di come aveva imparato a cacciare e a procurare il cibo a tutti insieme agli altri uomini della sua tribù; raccontò anche delle sue giornate passate a correre per i boschi con il suo amico d’infanzia Kanen’tó:kon. Aveline lo ascoltava ammaliata: una vita come quella che aveva vissuto Connor, era ciò che avrebbe sempre voluto anche lei, lontano dalle cerimonie della nobiltà e dal caos delle città. Mentre raccontava della sua vita prima di entrare nella Confraternita, Connor mostrava nostalgia e si vedeva che era stato un periodo davvero bello della sua esistenza. Probabilmente avrebbe continuato a parlare per ore, se avesse potuto.
<<Mi piacerebbe visitare questi posti e conoscere la tua gente. Soprattutto il tuo amico. Da come ne parli sembra un tipo molto simpatico>> Connor s’incupì all’improvviso e abbassò lo sguardo: <<Ormai non è rimasto nessuno della mia tribù da quelle parti… Sono stati obbligati a lasciare le nostre terre, e io non sono riuscito ad impedirlo>> Strinse il pugno con rabbia e continuò <<E mio fratello, Kanen’tó:kon, è morto. Lho ucciso… ho dovuto. Non voleva ascoltarmi, accecato dalla rabbia. Credeva che li avessi traditi tutti, alleandomi con il nemico>> Connor si alzò in piedi per il nervoso e si appoggiò alla parete con il gomito, guardando tristemente il pavimento. <<Hey…>> Aveline si alzò immediatamente e gli appoggiò la mano sulla spalla nel tentativo di consolarlo <<Mi dispiace tanto Connor… >>. Lui si tirò su e si voltò per guardarla: <<Tranquilla… non è colpa tua… non potevi saperlo. Non ho un passato particolarmente felice…>>. Per istinto e compassione lo abbracciò teneramente. Connor ricambiò volentieri il gesto stringendola a sé. Si sorrisero e tornarono a sedere. Aveline iniziò a bere la sua camomilla, che nel frattempo da bollente era diventata tiepida. Poi appoggiò la tazza sul tavolo e Connor ricominciò a parlare: <<Perché non mi parli un po’ di te invece? Sei riuscita nella tua missione?>>
<<Oh, si. Alla fine ho scoperto che il misterioso uomo della compagnia, altri non era che la mia matrigna, Madeline. Per raggiungere il suo scopo era disposta a tutto, perfino sacrificare mio padre… >>
<<Assurdo. E cosa intendeva ottenere?>>
<<Un Disco contenente un’antica profezia. Io gli servivo perchè ero venuta in possesso del pezzo mancante. Ma non sapeva che senza la chiave che ho sempre portato con me il Disco non si sarebbe mai attivato>> Gli fece vedere la collana che portava al collo e aprì il ciondolo per mostrargli la foto di sua madre. Connor lo osservò qualche istante poi glielo ridette. <<Anche io ho avuto a che fare con oggetti del genere. Si trattava di una sfera, chiamata Mela dell’Eden, in grado di agire sul libero arbitrio delle persone. Appena ho potuto l’ho gettata nell’oceano: un simile potere non dovrebbe mai cadere nelle mani di nessuno>>
<<Sono d’accordo. Hai fatto la scelta giusta>>
<<Insomma anche il tuo passato è un po’ burrascoso… >>
<<Direi di si. Il mio maestro si è suicidato per lo stesso motivo del tuo migliore amico. Non ha voluto ascoltarmi: credeva che mi fossi alleata con i Templari, e piuttosto che vivere con questa consapevolezza ha preferito uccidersi>>
<<Accidenti… mi dispiace Aveline. Sia per lui che per tuo padre. Tua madre invece…?>>
<<Si, è ancora viva, sta bene. Si è stabilita a Chichen Itza. Mi manca molto. Spero di riuscire ad andarla a trovare presto>>
<<Bene, sono felice di questo>>
<<Ho quasi paura a chiedertelo: i tuoi genitori invece…?>>
<<Fa male parlarne. Mia madre è morta in un incendio appiccato dai Templari al nostro villaggio: l’ho vista morire tra le fiamme. Avevo cinque anni, e me lo ricordo ancora come se fosse ieri. Mio padre era un Maestro Templare, e nonostante abbia sperato per anni di poterlo evitare, ho dovuto ucciderlo>>
<<Non sai quanto mi dispiaccia per te Connor. Davvero>>
Aveline aveva gli occhi lucidi per il dispiacere: adesso si spiegava il suo carattere così serio e cupo. Dover affrontare tutto questo da solo, con tutte le responsabilità sulle sue spalle doveva essere stato davvero duro. Si alzò andò e si mise a lui: gli prese le mani e lo fece alzare. Lo abbracciò forte poi lo baciò con passione: voleva fargli sentire con tutta se stessa quanto volesse vederlo felice e quanto fosse dispiaciuta per lui; voleva che sapesse che lei gli era vicina. Restarono a guardarsi intensamente per qualche secondo, poi Connor le propose: <<Che ne dici se ci prendiamo un po’ di tempo solo per noi, come stasera? Ti confesso che non mi sentivo così sereno da tanto tempo…>>
Aveline gli sorrise e gli accarezzò la guancia: <<Non sai quanto mi renda contenta sentirtelo dire. Mi piacerebbe tanto passare del tempo con te, per conoscerti meglio>>
<<Bene, allora facciamo che la sera, quando Patience è a letto, ci troviamo in sala da pranzo>>
<<Va bene. Adesso, visto che è ancora notte fonda, tornerei a letto>>
<<Ok, ma prima vieni qui>> Le rispose, prendendola per mano e baciandola ancora.
<<Buona notte Connor>>
<<Sogni d’oro>> le sorrise, lasciandole lentamente la mano
<<Speriamo di si…>>
Detto questo tornarono ognuno nella propria stanza.