Aveline sentì una mano che le accarezzava la guancia. Si voltò: seduto sul letto accanto a lei c’era Connor che la guardava con quel solito mezzo sorriso, ma questa volta il suo sguardo era molto dolce. Aveline si tirò su e si mise seduta: <<Ciao Connor, ti serve qualcosa?>>

Connor si alzò dal letto in silenzio e si tolse la maglia. Poi si chinò sul letto a torso nudo e si avvicinò a pochi millimetri dal volto di Aveline e le sussurrò dolcemente: <<È te che voglio…>>

La baciò dolcemente prendendola da dietro la schiena e avvicinandola a se’. Aveline aveva il cuore in gola. Il bacio divenne sempre più profondo e passionale. Presto il loro respiro si fece più veloce. Connor iniziò a baciarle il collo facendola gemere. Lei inarcò la schiena tenendolo stretto a sé e ansimando di piacere. Lui la stese e fece per stendersi sopra di lei sorridendole dolcemente. Lei ricambiò il sorriso e chiuse gli occhi lasciandosi andare completamente.

All’improvviso qualcuno bussò alla porta. Aveline saltò a sedere sul letto di colpo: si guardò intorno e si rese conto che era stato solo un sogno. Nella stanza non c’era nessuno e lei aveva dormito come un sasso fino a quel momento.

<<Avanti>> Disse appoggiandosi con la schiena al cuscino.

Patience aprì la porta ed entrò richiudendola. <<Wow! A te è toccata la stanza più bella>>

Esclamò guardandosi attorno. Si avvicinò al letto e si sedette accanto ad Aveline. <<Tutto bene? Hai un’aria strana. Sembra che tu abbia visto un fantasma… >>

<<Sai com’è: stavo dormendo e mi sono svegliata con il tuo delicato bussare… Com’è andato il tuo primo giorno di addestramento>>

<<Non male direi; è stato tutto molto “teorico”: mi ha raccontato molte cose sulla storia della Confraternita, e mi ha mostrato dove si allenava lui con il suo Maestro, nel seminterrato. È una figata! Ci sono un sacco di abiti e di armi>>

<<Mi fa piacere che tu sia rimasta soddisfatta. Connor è un bravo insegnante?>>

<<Per ora non mi lamento… anche se è un po’ noioso… insomma non dico che dovrebbe farmi divertire, ma sforzarsi di rendere tutto un po’ più leggero…>>

<<Magari ha solo bisogno di tempo per sentirsi anche lui a suo agio. Non mi sembra molto abituato ad avere compagnia>>

<<Soprattutto femminile…>>

<<Dai Patience!>>

<<Andiamo Aveline! Quante donne avrà mai portato qui secondo te?! Secondo me non sa neanche com’è fatta!>>

<<Questa conversazione finisce qui>> Disse Aveline che teneva a stento le risate.

<<Comunque ero venuta apposta per chiamarti a cena, visto che hai dormito come un angioletto fino ad ora>>

<<Ok, andiamo>>

Patience si alzò dal letto per permettere ad Aveline di scendere. Uscirono dalla stanza e scesero le scale verso la sala da pranzo. Connor era già seduto a tavola in attesa che arrivassero per far servire la cena a Maria.

<<Dormito bene?>> domandò ad Aveline. Per una frazione di secondo le tornò in mente il sogno e involontariamente arrossí: <<Si. Sono riuscita a riposarmi abbastanza>>

Maria entrò portando i piatti: aveva preparato della carne di selvaggina con qualche verdura bollita. La cena, come il pranzo, era squisita; dopo il sogno che aveva fatto Aveline non riusciva più a guardare Connor nello stesso modo: aveva quasi timore che si accorgesse di ciò che la sua mente aveva immaginato nel sonno, quindi cercava di evitare il più possibile di il suo sguardo. Connor non notò nulla di strano; non era particolarmente loquace, e sembrava sempre assorto nei suoi cupi pensieri. Ad un certo punto però i loro sguardi s’incrociarono per caso: Aveline sentì le farfalle nello stomaco per una frazione di secondo, poi tornò a fissare il piatto; Connor continuò a guardarla per qualche istante, poi continuò a mangiare.

“Cosa mi prende? È stato solo uno stupido sogno, niente di più. Ma allora perché mi sento così? Si ok, è molto attraente, ma io sono fidanzata!” I pensieri affolavano la mente di Aveline che si ritrovò isolata a rimuginare fissando il vuoto.

<<Aveline dico a te!>> Esclamò all’improvviso Patience <<Ma ti senti bene? Sarà la terza volta che ti chiamo!>>

<<S-si, certo che sto bene. Sono solo un po’ spossata. Mi serve una boccata d’aria. Con permesso>> Aveline si alzò da tavola e si diresse verso l’uscita. Connor e Patience si guardarono con aria interrogativa.

Arrivata fuori, sugli scalini, scese sul sentiero davanti all’entrata, e andò verso destra; poi girò l’angolo e vide un bel porticato, con un terrazzo al piano superiore. Si diresse verso la veranda e si sedette su una sedia che era stata appoggiata in un angolo. Inspirò a fondo e chiuse gli occhi nel tentativo di rilassarsi: l’aria era piuttosto fredda anche se in cielo non c’era nemmeno una nuvola. Si percepiva il silenzio in cui era avvolta tutta la zona di notte. Si sentiva un cane abbaiare in lontananza ogni tanto, ma niente di più. A riempire l’aria di dolci suoni erano solo i grilli che ondeggiavano sui fili d’erba al chiaro di luna. Questa atmosfera sarebbe durata ancora poco poiché l’inverno era ormai vicino. Aveline sentì un brivido di freddo che la fece tremare, ma non aveva voglia di tornare dentro. Aveva bisogno di calmarsi e di liberare la mente da certi pensieri… o forse no?

<<Aveline, è tutto a posto? Sei scappata all’improvviso e ho temuto che non ti sentissi bene>> Connor era uscito a controllare che fosse stesse bene e l’aveva trovata seduta e infreddolita in veranda. Si avvicinò alla sedia e la guardò con aria preoccupata e interrogativa.

<<Si sto bene. Non preoccuparti. Volevo solo stare un po’ da sola…>>

<<Ok, allora non ti disturbo oltre>> Connor fece per andarsene, ma Aveline rispose senza pensare: <<No… resta. Non mi disturbi affatto>>

<<Come vuoi>> Sorrise Connor, tornando indietro. Si accorse che Aveline aveva i brividi di freddo. <<Tieni>> Si tolse la giacca e glie l’appoggiò sulle spalle. <<Grazie>> Fece Aveline abbozzando un sorriso.

Connor si spostò alla sua sinistra e si sedette sul recinto della veranda. <<Come va la ferita?>>

<<Non bene. Purtroppo fa ancora molto male e brucia>>

<<Mi spiace molto. Forse ho qualcosa che potrebbe aiutarti a sentire un po’ meno dolore e a farti guarire più in fretta>>

Nella mente di Aveline iniziarono a materializzarsi mille pensieri al secondo: “Cosa intende? non sarà mica un’allusione a qualcos’altro?! Ma certo che no, non ci pensa nemmeno a certe cose: lui è un tipo apposto… Che vorrà dire poi che è un tipo apposto? Che non ha diritto a fare o a pensare queste cose? Ma quanto sarò paranoica… In realtà sono convinta che non ci proverebbe mai, nemmeno a sfiorarmi”

Connor scese dal recinto e si avviò verso l’entrata; Aveline lo seguì. La condusse nella sua camera, nella quale ora dormiva lei. Entrarono e Connor chiuse la porta dietro di sé: il cuore di Aveline iniziò a battere all’impazzata: “Ecco, ci siamo. Lo sapevo che voleva arrivare a questo. Spero non si azzardi nemmeno a provarci”.

Connor andò verso l’armadietto in fondo alla stanza e lo aprì, prelevando una piccola ampolla di vetro contenente un unguento giallastro. Aveline era ancora in piedi ferma a fissarlo vicino alla porta. Si girò e la vide, così le domandò <<Aveline, ma stai bene? È da quando siamo a tavola che ti comporti in modo strano>>

<<Ti ho detto che sto bene, Connor>> Rispose in maniera più acida di quanto non avrebbe voluto. Connor fece le spallucce e si voltò per richiudere l’armadietto. Quindi andò verso la poltrona posizionata davanti al canterale: <<Vieni, siediti qui. Che c’è? Non dirmi che hai paura delle medicine… >> Connor abbozzò un mezzo sorriso per prenderla in giro.

<<Ma figurati! Sono abituata a sopportare di peggio>> Quindi andò a sedersi dove le aveva indicato. La aiutò a togliere la fascia e delicatamente le srotolò le bende. La ferita era arrossata e gonfia, e purtroppo non accennava a guarire.

<<Sentirai un leggero bruciore, ma ti garantisco che vedrai i benefici di questo unguento già da domattina>> Dopo aver versato una piccola quantità della sostanza sulla mano, iniziò a stenderla con estrema delicatezza sulle ferite, facendo dei piccoli movimenti circolari.

<<Ah! Fa male… >> Si lamentò Aveline <<Tranquilla ho quasi finito>> La sua mano si muoveva delicatamente lungo il braccio per permettere all’unguento di penetrare sotto la pelle. Aveline si soffermò ad osservare la sua espressione, così seria e dura. Connor si accorse di essere osservato e ricambiò lo sguardo: rimasero a guardarsi per un istante. I loro sguardi si spostavano dagli occhi alle labbra dell’altro. Poi Connor sorrise e si mise a mettere in ordine e a pulirsi le mani. Tornò da Aveline e le mise delle garze pulite che teneva in camera.

<<Siamo sicuri che questa roba funzionerà?>> Chiese pensierosa mentre le riavvolgeva il braccio. <<Funziona, te lo garantisco per esperienza>>. Conor si tirò su e si alzò la maglia fino al petto per mostrarle una grossa cicatrice sul lato destro dell’addome: <<Grazie a questo unguento sono riuscito a riprendermi>> Aveline fece una smorfia nell’immaginare quanto grande e dolorosa dovesse essere stata quella ferita. <<Anche tu sei vivo per miracolo insomma…>>

<<È stata una dura guerra, non posso dire di averla vinta al 100%, ma sono ancora vivo>> Aveline non capì bene cosa intendesse, ma non fece domande. <<Adesso ti lascio riposare. Buona notte>> Le accarezzò dolcemente la schiena mentre si avviava verso la porta; Aveline sentì di nuovo le farfalle nello stomaco: <<Ti ringrazio Connor… Buona notte anche a te>>

Connor le sorrise, poi uscì dalla stanza e chiuse la porta. Aveline rimase seduta a fissare il pavimento per un po’:  si sentiva molto confusa…