Aveline aprì la porta e si trovò in una stanza piuttosto grande: vista la presenza di alcune decorazioni indiane, capì che si trattava della camera di Connor. Nell’aria si percepiva un piacevole profumo, come quello dell’incenso. Appoggiò le sue cose sul letto: su una sedia vicino alla finestra erano appoggiati alcuni vestiti puliti. Visto che Brigitte le aveva lasciato solo una vestaglia da notte decise di mettere un abito adatto al giorno.
Piano piano iniziò a spogliarsi, facendo attenzione a non tirare i punti di sutura sul braccio. Con fatica e dolore riuscì a togliere giacca e camicia. Sfilò pian piano gli stivali e si sgranchì le dita dei piedi. Poi slacciò la cintura e si tolse i pantaloni: si avvicinò alla sedia e prese in mano i vestiti che le erano stati lasciati. Ne scelse uno blu, con una fascia bianca in vita: la gonna le scendeva delicatamente sui fianchi e le arrivava fino alle caviglie; la scollatura era graziosamente rifinita da un bordo in pizzo di circa un centimetro e mezzo, che arrivava fino alle spalle. Aveva le mezze maniche a sbuffo decorate con disegni floreali bianchi, anche queste rifinite da una piccola fascia bianca come quella in vita. Sotto alla scrivania c’erano un paio di scarpe grigie basse con un piccolo fiocco nero sulla parte alta frontale. Dopo essersi vestita si guardò allo specchio: non era particolarmente amante degli abiti da donna, ma questo era molto bello e le piaceva molto come le stava. Pian piano rimise la fascia per sorreggere il braccio; sistemò le trecce in una grossa coda bassa e uscì dalla stanza.
Infondo alle scale c’era la domestica che spolverava i candelabri. Le si avvicinò e le domandò: <<Ciao, sai dove posso trovare Connor?>>. La donna si voltò verso di lei e le fece un gran sorriso: <<Caspita, ma questo abito sembra fatto apposta per te mia cara! Sei bellissima!>>
<<Grazie>> Rispose timidamente Aveline.
<<Connor è appena uscito, è qui fuori a dare da mangiare ai cavalli, vuoi che te lo chiami?>>
<<No grazie, ho visto dove sono le stalle. Vado a cercarlo io>>
<<Come desideri. Tra poco sarà pronto il pranzo, perciò avvisa anche lui di sbrigarsi>>
<<Va bene>>
Aveline si diresse verso la porta e uscì in giardino. Scese i gradini e poi andò verso le stalle: vide in lontananza Connor che con il forcone prelevava del fieno da delle balle e lo depositava nelle mangiatoie degli animali. Si avvicinò e lo salutò con un sorriso <<Ciao>>. Connor si voltò e ricambiò il saluto, interrompendo quello che stava facendo e appoggiandosi al forcone: <<Ciao Aveline. Questo vestito ti dona davvero molto. Bello…>>
Disse osservandola da capo a piedi per qualche istante.
<<Grazie mille>> Rispose Aveline un po’ in imbarazzo.
<<Spero che tu ti sia trovata bene nei tuoi alloggi>>
<<Benissimo. Anzi, complimenti per la casa. Com’è andata con Patience?>>
<<Le ho fatto solo qualche domanda per valutare il suo livello generale di cultura… ci sarà un po’ da lavorare>>
<<Immagino. Senti avrei bisogno di chiederti un grosso favore>>
<<Certo, dimmi. Dopo tutto sono in debito con te>>
<<Avrei bisogno di riposare per un po’: visto che la mia casa è lontana e io sono ancora debole, non potrò riprendere il viaggio finché non sarò guarita del tutto. Se non sono troppo di disturbo, ti chiederei di ospitarmi ancora qualche giorno>>
<<Aveline non preoccuparti, non rechi alcun disturbo. Sarò lieto di ospitarti. Non ti permetterei mai di affrontare un viaggio così lungo in queste condizioni>>
<<Ti ringrazio>> Sorrise Aveline. <<La domestica mi ha chiesto di informarti che il pranzo è quasi pronto>>
<<Perfetto. Sistemo questi ultimi due e sono pronto>>
<<Ok>> Si scambiarono un sorriso, poi Aveline si voltò e tornò verso l’entrata.
Tornando verso l’edificio notò nel cortile sulla sinistra tre lapidi. Si avvicinò per vedere a chi appartenessero: sopra c’erano i nomi di Achille Davenport, sua moglie e suo figlio Connor. Anche lui aveva perso il suo Maestro; la pervase un po’ di tristezza nel ricordare la morte di Agaté e le sue convinzioni che lo spinsero ad un gesto tanto folle. Guardando verso destra vide in lontananza il mare e una grossa nave ormeggiata; si chiese di chi fosse e pensò che forse avrebbe impiegato meno tempo a tornare a casa con quella, piuttosto che a piedi o a cavallo. Si risvegliò dai suoi pensieri quando Connor la chiamò dalla porta: <<Aveline, vieni. Il pranzo è pronto>>.
Entrarono e le mostrò dove si trovava la sala da pranzo: Patience era già a tavola impaziente di mangiare. Quando la vide entrare esclamò:<<Porca miseria Aveline! Ma sei una favola!>> Aveline sorrise in imbarazzo <<Ti ringrazio Patience… >>
Si sedettero tutti a tavola, e la domestica iniziò a versare del brodo nei piatti, a partire da Connor che era a capo tavola, poi Aveline e quindi Patience.
<<Accidenti, ma è delizioso! Non ho mai assaggiato una minestra così buona! Complimenti!>> Esclamò rumorosamente Patience. <<Oh ma grazie! nessuno mi aveva mai fatto i complimenti per le mie pietanze>> Rispose sorpresa la donna, poi tornò verso la cucina. Connor fece un mezzo sorriso e poi si mise a mangiare anche lui.
Passarono qualche minuto in silenzio, poi la donna tornò per portare via i piatti sporchi. <<Una domanda: come ti chiami?>> le domandò Patience. <<Mi chiamo Maria>> Le rispose dolcemente.
<<Sei sempre così chiacchierona?>> Le chiese Connor incuriosito. <<Stavo per farti la stessa domanda, sai?>>. Aveline scoppiò a ridere di gusto, e Patience le andò dietro. Connor si limitò a sorridere guardando il tavolo. <<Oh beh è un miracolo vederlo sorridere così ragazze! La vostra presenza forse gli farà venire un po’ di senso dell’umorismo!>> Esclamò sarcastica Maria mentre tornava in cucina con i piatti sporchi in mano. Le ragazze risero ancora e Connor scosse il capo: anche se non voleva darlo a vedere si stava divertendo anche lui.
<<Tornando a discorsi seri: perché non mi raccontate come mai ci avete messo tanto a tornare? Cosa è successo ad Aveline?>>
Aveline spiegò dell’incidente con l’orso e delle persone che le avevano soccorse; spiegò che per due giorni era rimasta priva di sensi e che gli altri due era rimasta a letto a riposo. Connor ascoltò con attenzione ogni dettaglio del racconto e rimase particolarmente sorpreso: <<È un miracolo che siate ancora vive. Se foste sempre vissute qui avreste saputo che è meglio stare lontani dalle sponde del fiume fuori dal sentiero. E siete state fortunate che il sangue non abbia attirato altri predatori>>
Patience fissava il piatto in silenzio: era chiaramente a disagio e sperava che la conversazione finisse il prima possibile. Poi Connor riprese rivolgendosi proprio a lei: <<Ci sarà da lavorare parecchio sulle strategie e gli attacchi silenziosi. Mi pare di capire che riflettere non sia proprio nel tuo stile… >>
<<Già…>> Fece Patience con aria annoiata. Aveline percepì che la situazione stava diventando tesa, così intervenne cambiando discorso: <<Ma basta parlare di noi. Raccontaci qualcosa di te, no?>>
<<Di cose da raccontare ce ne sarebbero un’infinità… Ma adesso non mi va di parlarne>> Connor si incupì di nuovo, e Aveline si pentì immediatamente di aver fatto quella domanda: capì il perché dell’aria stanca e cupa. Sicuramente ne aveva passate tante dall’ultima volta che si erano visti; tanto dolore e tanta rabbia che non poteva o non voleva condividere con nessuno. Conosceva bene quella sensazione.
<<Mi sento molto stanca. Credo proprio che andrò a riposare>> Intervenne Aveline. L’espressione sul volto di Connor cambiò, come se si fosse reso conto di essere stato scortese in qualche maniera. Aveline si alzò e si avviò verso le scale. Sentì Connor dire a Patience di seguirlo nella sala di fianco a quella da pranzo per cominciare il suo addestramento. Le loro voci si fecero sempre più flebili, fino a sparire quando chiuse la porta dietro alle sue spalle. Finalmente poteva concedersi un po’ di riposo: si stese sul letto a pancia su e si mise a ripensare a tutto quello che era successo da quando aveva lasciato New Orleans. Chissà se Gerald la stava pensando e se gli mancava quanto lui mancava a lei. Poi il viaggio, Patience, l’orso, Connor… E proprio pensando a lui si addormentò.